domenica 1 aprile 2007

Olf e decipol sono ancora attuali ?

Marzia scrive:

D: Sto realizzando una tesi sulla qualità dell'aria nell'ambiente domestico; ho trovato un buon aiuto nelle Sue fonti, volevo però chiederLe alcuni chiarimenti relativamente al rapporto esistente tra l'olf e Le varie sostanze chimiche riscontrabili in casa e se ha dei dati relativi al carico di inquinanti percepito in ambiente domestico, provocato da mobilio, materiali di rivestimento, e cosi' via(olf/m2). Ulteriore chiarimento relativo al tasso di ricambio, vorrei sapere se ad esempio ci sono differenze tra quello richiesto per l'acido solfidrico e quello per l'ammoniaca.

R: non esiste un rapporto preciso e definibile tra l’olf e le sostanze chimiche in genere: un rapporto può essere stabilito (in maniera non molto precisa), attraverso complesse prove olfattometriche, solo con le sostanze percepibili (cioè che posseggono un odore identificabile), vedi l’articolo "Percezione della qualità dell'aria negli ambienti interni". Soprattutto per questo motivo, l’uso del metodo di Fanger non è raccomandabile. In genere, olf e decipol vanno bene (con qualche approssimazione) solo per quantificare il livello di inquinamento interno dovuto alla presenza delle persone ed al loro livello di attività fisica. Per maggiore chiarezza: se prelevo un campione d’aria da un ambiente interno inquinato e lo faccio valutare da una platea di annusatori professionisti, avrò un valore in decipol, ad esempio 10 decipol, che mi dice che quell’aria ha una qualità equivalente a quella di un ambiente dove sono presenti 10 persone che svolgono una attività fisica pari a 1 MET ciascuna, in presenza di un tasso di ventilazione pro capite di 10 litri di aria esterna al secondo (vedi le definizioni di olf e decipol, sempre nell’articolo citato). Tutto qui. In quell’aria potrebbe esserci di tutto, magari inquinanti cancerogeni e perfettamente inodori, ma questo tipo di valutazione non me lo può dire. Per questo motivo, gli inquinanti devono essere identificati e quantificati per mezzo di prove strumentali di analisi dell’aria.

Non esiste comunque un tasso di ricambio specifico per l’acido solfidrico o per l’ammoniaca: quello che conta è il massimo livello di concentrazione ammesso in un ambiente per le varie sostanze chimiche. Il tasso corretto di ventilazione è quello che permette di rispettare questi livelli, e può differire molto a seconda delle variabili presenti di volta in volta (tipo di locale, qualità dell’aria esterna utilizzata, efficienza di ventilazione dell’impianto ecc. ecc.). In ambito residenziale non si usano, in genere, dei livelli raccomandati per le singole sostanze, tranne alcune eccezioni particolari (ad esempio i limiti che si utilizzano anche per l’aria esterna, come quelli sul particolato PM10 e PM2,5, sul CO, sull’ozono ecc.). Si usano invece molto in ambito industriale, dove esistono numerose raccomandazioni, che però non sono utilizzabili in altre situazioni, perché si tratta di limiti stabiliti in riferimento all’esposizione discontinua (al massimo per 8 ore consecutive) di lavoratori adulti sani (mentre nelle abitazioni la popolazione esposta, in modo che può essere permanente, comprende anche soggetti molto più sensibili, come bambini, anziani, malati ecc.).

Ad esempio, i valori MAK ((Maximale Arbeitsplatz Konzentration), che sono i valori massimi di concentrazione calcolati in media su una giornata di lavoro, sono di 14 mg/m3 per l’ammoniaca e di 15 mg/m3 per l’acido solfidrico. Se in un reparto produttivo esistono queste sostanze in sospensione nell’aria, il tasso di ricambio dovrà essere tale da mantenerne la concentrazione al di sotto di questi livelli specifici.

Il metodo di valutazione della qualità dell’aria basato sugli olf e i decipol, quindi sulla percezione degli inquinanti, ha avuto il merito di far conoscere il problema dell’inquinamento interno ad una platea molto vasta, perché, in un certo senso, ha reso l’inquinamento meglio “riconoscibile”; d’altra parte, questo metodo si è rivelato insufficiente a prevenire i rischi per la salute causati dall’esposizione agli inquinanti non percepibili.

Molti inquinanti comportano un rischio molto elevato, ma non siamo in grado di avvertirne la presenza. Quindi, per ottenere un adeguato livello di comfort e, allo stesso tempo, garantire una efficace protezione alla nostra salute, è necessario, per quanto possibile, ridurre l’esposizione a tutte le sostanze nocive presenti nell’aria. Questo a prescindere dal fatto che siano o no percepibili dai nostri sensi.

Per riuscire in questo intento, si devono utilizzare altri metodi, di concezione più recente, che permettono di sfruttare tutte le risorse attualmente messe a disposizione dalla tecnologia del trattamento dell’aria. Ma, prima ancora, oggi si è compreso che il sistema più efficace di ridurre gli inquinanti è quello di prevenirne la diffusione: sembra banale, ma non lo è affatto. Mentre per alcuni inquinanti “fastidiosi”, è facile capire che, per eliminarli, è sufficiente modificare un comportamento sbagliato (come ad esempio fumare nei locali chiusi), per altri inquinanti, non altrettanto evidenti, il discorso della prevenzione è più complesso. Gli inquinanti più pericolosi in assoluto che possiamo trovare nei nostri locali sono il monossido di carbonio, le polveri estremamente sottili ed il Radon: tutte sostanze dalla presenza inavvertibile e molto difficili o impossibili da eliminare efficacemente una volta presenti nell’aria. La diffusione di questi inquinanti deve essere prevenuta, non contrastata. Lo stesso discorso vale per gli inquinanti esalati dai materiali che utilizziamo per costruire, arredare, colorare, rivestire e pulire i nostri edifici: tentare di diluirli e di abbatterli, una volta diffusi, è un controsenso logico ed un notevole spreco di risorse che non ci possiamo energeticamente più permettere.

Una volta fatto il possibile per prevenire la produzione e la diffusione degli inquinanti, possiamo pensare a come intervenire per ridurne la concentrazione residua presente nell’aria, per mezzo degli impianti di trattamento, in modo da ottenere aria sana e confortevole.

Il metodo ritenuto più efficace, per raggiungere un tale risultato, consiste nell’adozione dell’approccio cosiddetto “prestazionale” nella progettazione. Cioè il funzionamento dell’impianto si deve basare sulle prestazioni, ovvero sulla capacità di mantenere le concentrazioni degli inquinanti interni al di sotto dei massimi livelli raccomandati dalla comunità scientifica. Si tratta di un argomento piuttosto complesso. Molto in sintesi, questo metodo, a differenza dell’approccio detto “prescrittivo”, che si limita a prescrivere un certo ricambio d’aria a seconda della tipologia dei locali e della loro destinazione d’uso (sperando che, in media, questo sia sufficiente a contenere le concentrazioni degli inquinanti), si basa invece sulla rilevazione effettiva degli inquinanti e sull’impiego contemporaneo dell’aria esterna (in quantità “controllata”) e della filtrazione per diluirli e sequestrarli dall’ambiente. L’uso corretto di questo sistema, garantisce una effettiva prevenzione dei danni per la salute ed un notevole contenimento dei costi energetici, perché il tasso di ventilazione è regolato in base all’effettiva necessità, evitando inutili sprechi. La norma statunitense ASHRAE 62.1-2004 “Standard Ventilation for Acceptable Indoor Air Quality” descrive, a partire dall’edizione del 1981, un metodo prestazionale (IAQ Procedure), che ha avuto un grande successo “di critica” (perché è ben costruito e completo) ma scarso successo “di pubblico”, perché complesso e, a prima vista, di difficile applicazione.

Posso anticipare che la prossima edizione della norma italiana UNI 10339 “Impianti aeraulici al fini di benessere” (diciamo l’equivalente nostrano della ASHRAE 62) conterrà un metodo prestazionale che dovrebbe essere, almeno nelle intenzioni (speriamo anche nei fatti), semplice da assimilare e da applicare nella realtà degli impianti. In pratica, si cercherà di promuovere l’impiego dei sensori di inquinanti per governare le portate di ventilazione, nonché l’utilizzo di filtri sull’aria esterna, di efficienza commisurata alla reale quantità degli inquinanti effettivamente presenti nelle varie zone geografiche (in aggiunta alla filtrazione, quando necessaria, sull’aria all’interna degli ambienti). Sarà lasciata al progettista ampia libertà di scegliere le soluzioni tecniche a suo giudizio più opportune, a condizione che l’impianto sia in grado di garantire il rispetto dei limiti raccomandati di concentrazione degli inquinanti. I limiti saranno in gran parte quelli indicati nei documenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità WHO (2000) “Air Quality Guidelines for Europe - 2nd edition" e WHO (2006) “Air Quality Guidelines for particulate matter, ozone, nitrogen dioxide and sulfur dioxide”. Sarà inoltre raccomandato l’utilizzo, nella realizzazione degli edifici, di materiali certificati riguardo alla qualità e alla quantità di emissioni nocive.

In conclusione, la quantificazione del tasso di ricambio da adottare, in relazione alle varie sostanze presenti, dipenderà dall’applicazione di una determinata procedura: innanzi tutto, si dovrà procedere all’identificazione e alla quantificazione degli inquinanti “critici”, cioè quelli più pericolosi effettivamente presenti; quindi, si dovrà individuare il livello massimo ammesso di concentrazione per questi inquinanti; il tasso di ventilazione effettivo sarà quello che potrà garantire, attraverso un apposito calcolo (i cui risultati andranno verificati in sede di collaudo), il rispetto dei limiti raccomandati. Questa procedura, alla data di oggi, è in fase di stesura finale per l’incorporazione nella bozza definitiva della norma. Si prevede che il testo sarà disponibile per l’inchiesta pubblica entro la metà del 2007.

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